di Carmine Gazzanni
Il 17 Novembre del 1939 gli occupanti nazisti uccisero 9 studenti all’Università di Praga e i loro insegnanti. Il 17 Novembre del 1973 gli studenti del politecnico di Atene furono travolti dai carri armati del regime dei Colonnelli che irruppero nell’ateneo. Il 17 Novembre 1989 in Cecoslovacchia la commemorazione del ‘39 (occupazione militare nazista) divenne l’inizio della rivolta contro il regime. Nasce così la giornata internazionale degli studenti che quest’anno ha assunto un significato maggiore e più profondo, visti i tagli a cui è andata incontro l’Università Italiana (e non solo l’Università).
Gli studenti in tutta Italia stanno avvertendo questo forte disagio e ieri si sono riversati per le strade proprio per manifestare il loro dissenso e soprattutto il desiderio di riappropriarsi del loro futuro e della libertà di poterselo scegliere. Gli studenti, in pratica, vogliono riappropriarsi del diritto, riconosciuto anche dalla nostra stessa Carta Costituzionale, dell’autorealizzazione: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Anche per questo motivo, come detto, gli studenti sono scesi in piazza, occupando le strade con manifestazioni e cortei. In più di 100 città italiane: da Roma a Milano, da Torino a Bologna, da Trieste a Palermo. Tutti accomunati dal desiderio di gridare, urlare il proprio dissenso ad un Governo che li relega ad un ruolo subalterno, un Governo che preferisce, esempio scontato ma forte, finanziare la cosiddetta “missione di pace” (con i cacciabombardieri?) afghana e non la cultura. Probabilmente nessuno dei nostri politici ha mai letto Piero Calamandrei.
Ed allora ecco più di 200 mila giovani a Roma protestare sotto i palazzi del Governo; a Torino sono stati bloccati i binari; a Genova e Trieste molte delle scuole superiori sono ormai occupate; a Catania due facoltà, Lettere e Lingue, sono state “prese in consegna”. E ancora musica, “reading” in piazza, lezioni all’aperto. Insomma, una grande partecipazione attiva, informativa, partecipativa.
E tra le cento città in cui si è sfilato, anche Perugia. Grande partecipazione, grande entusiasmo, grande coscienza del perché si era lì. Certo, alcune scelte erano opinabili (ad esempio la presenza di alcuni “simpatizzanti” presenti con le loro bandiere e i loro volantini che hanno rischiato, anche senza volerlo, di strumentalizzare la manifestazione), ma chi ha visto sfilare questi ragazzi, ha visto nei loro occhi la forza di non volersi arrendere perché in ballo non c’è solo l’ “oggi” dello studente, ma anche e sopratutto il “domani” del lavoratore, del manager, del docente, dell’avvocato, del padre e della madre di famiglia. Il futuro del cittadino e dell’Italia. Ed è per questo che i giovani di Perugia, e non solo quelli di Perugia, hanno deciso di unirsi anche ad altri movimenti e ad altre “vittime” della tagliola Gelmini-Tremonti: precari, operai, immigrati.
Il commento a caldo del Ministro dell’Istruzione è stato secco: “sempre i soliti slogan”. Ed ha ragione la Gelmini. Peccato, però, che non si sia chiesta anche il perché di questi “soliti slogan”. Se se lo fosse domandato, probabilmente avrebbe capito che l’Università sta cadendo a pezzi dopo anni e anni di scelte e gestioni fallimentari. I ragazzi questo l’hanno capito. Per i politici – cosa ci volete fare – dovremmo aspettare ancora a lungo. Anzi, avremmo dovuto. Ora “siamo tutti indisponibili“!